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PERCHE' SI PARLA TANTO DI ANSIA E PANICO OGGI?

DISTURBI D' ANSIA - 28/03/2021

Ansia. Una manifestazione fondamentale dell’essere nel mondo.

Ansia e stress sono spesso nominate come le patologie psicologiche del nuovo millennio, causate da una società che impone degli standard di vita veloci, sempre alla rincorsa di traguardi e obiettivi da raggiungere e da mostrare agli altri.

Non si deve però arrivare a concludere che la “colpa” di queste problematiche cade interamente sulla società in cui viviamo, perché  dovremmo poter trovare i segni e sintomi di queste problematiche nella quasi totalità delle persone, mentre invece esse colpiscono solo una parte della popolazione.

L’ansia è veramente un disturbo solo del 21° secolo?

La troviamo già nel mondo greco, dove veniva chiamata melanconia e la si faceva derivare dalla bile nera in quanto il greco Ippocrate la interpretava come segno di una malattia organica. I rimedi per la melanconia erano vivere alla luce, non mangiare pesante, fare bagni, moto, ginnastica e, in seguito, anche musicoterapica. 

Nel mondo romano, invece, la si vedeva già come un qualcosa di psichico e fisico insieme.

L’ansia nel Medioevo

L’età dell’ansia per eccellenza è stato senz’altro il Medioevo: le ansie erano legate all’effettivo rischio di malattia, soprattutto tubercolosi, lebbra, e peste; c’erano poi le invasioni barbariche, le guerre civili e le lotte contro gli infedeli. Intorno all’anno Mille poi sopraggiunse la paura della fine del mondo, il terrore per tutto ciò che è peccato, e le superstizioni. L’ansia è interpretata come malattia mentale e dello spirito, la religione allora può diventarne la cura: solo un’anima pura non temerà nulla. 

Illuminismo

Con l’Illuminismo si sviluppa la ricerca medico-biologica ma continuano ad imperversare decotti, salassi, oppio e pietre preziose. E’ nel ‘700, col filosofo francese Denis Diderot che c’è per la prima volta distinzione tra ansia e malinconia. Il concetto di ansia verrà così associato a quello di angoscia, che rimarrà tradotto con la stessa parola in lingue come il tedesco (Angt) e l’inglese (Anxiety).

L’ansia dall’800 a Freud

Nel diciannovesimo secolo William James, pioniere nel mondo della psicologia, coniò il termine “Americanitis” per descrivere l’angoscia – il termine diagnostico ufficiale era “nevrastenia”- che affliggeva le persone degli States in molti periodi della loro vita. 

Freud, intorno al 1900, isola una nevrosi specifica: la nevrosi d’angoscia,  distinguendo tra due forme di angoscia: la prima è un senso d’ansia e paura che nasce da una desiderio rimosso, curabile con un intervento psicoterapeutico, la seconda è un senso di panico accompagnato da manifestazioni di scariche neurovegetative, non dipendente da fattori psicologici, indicata come nevrosi attuale. Con la Prima Guerra Mondiale e lo studio delle nevrosi traumatiche di guerra da parte di Heckel, Freud sviluppa il fulcro della sua seconda teoria dell’angoscia: un campanello dall’allarme in vista di un pericolo immanente. 

La storia recente

Nel 1949, dopo anni di intenso lavoro, l’Unione Sovietica fece il primo test nucleare per la nuovissima bomba che cinque anni prima aveva, in pochi tremendi minuti, concluso la guerra tra Stati Uniti e Giappone. In questo contesto, coperto da una patina inquietante di minaccia costante, i sintomi ansiosi non potevano che aumentare vertiginosamente. All’epoca la sostanza ansiolitica in commercio erano i barbiturici, che provocavano però enormi problemi di dipendenza, e le morti per overdose non erano rare. L’anno successivo venne sintetizzato il meprobamato, un tranquillante che molti considerano l’antesignano (quantomeno sociale e culturale) delle benzodiazepine.

Facendo un salto di sessanta anni, arriviamo all’undici settembre 2001, dove troviamo picchi di ansia  sia nelle  persone in qualche modo coinvolte personalmente nella tragedia (disturbi post-traumatico da stress o le problematiche di un lutto) sia nella  popolazione che non era stata in alcun modo coinvolta nell’attacco terroristico. 




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