“ La vita non è quello che ci accade, ma quello che ne facciamo con ciò che ci accade”

Il processo di resilienza rappresenta qualcosa in più della mera sopravvivenza a un trauma, ha a che fare con la capacità di sentire il dolore e trasformarlo in forza, di sentire la rabbia e usarla come motore per il cambiamento creando un futuro di speranza dalle ceneri della disperazione. Resilienti non si nasce, ma lo  si può diventare, grazie al combinarsi dei tratti personali e delle caratteristiche del contesto. 

Gestire o superare una difficoltà non sempre si trasforma in un processo di crescita e sviluppo: alcune persone possono rimanere bloccate in un senso di impotenza che le costringe a essere vittime, oppure incapaci di liberarsi dalla rabbia e dalla recriminazione per ciò che hanno subito. 

Per differenziare ancor meglio la resistenza dalla resilienza è importante introdurre il concetto di flessibilità, quale capacità di creare forza dalla debolezza, di accettare la fragilità, la mancanza, l'imperfezione. La flessibilità è il modo con cui vengono utilizzate le abilità di coping, ovvero le capacità di affrontare e gestire gli eventi stressanti o critici, a seconda delle situazioni. 

La resilienza, inoltre, non è soltanto una caratteristica individuale, ma attiene ai gruppi, alle famiglie e alle comunità e viene definita come il processo attraverso il quale i membri appartenenti a un certo contesto fronteggiano e gestiscono le criticità e la crisi insieme. 

Alcuni elementi cruciali per la promozione della resilienza di una comunità dopo un evento traumatico sono:

1) Attivazione di risorse economiche

2) Coinvolgimento della cittadinanza 

3) Reti relazionali e organizzative

4) Sostegno sociale informale e spontaneo

5) Capacità delle comunità di pianificare

La capacità di resilienza non è dunque un puro fenomeno individuale ma anche relazionale e sociale. Il ruolo del contesto sociale, però, non deve essere mai interpretato nel senso di una delega delle nostre responsabilità alla società o agli altri.